Ognuno parlava come se fosse un piccolo Lenin

“Brother” era un magazine che faceva capo ad alcuni gruppi di autocoscienza maschile e sul quale venivano pubblicati i contributi dei vari membri e non solo, l’epoca è quella post 68, primi anni 70.

Il brano che segue è stato estratto dai numeri 11 e 12 e tratta un argomento quanto mai spinoso per chi, come me, si identifica con una determinata ideologia politica che viene poi smentita nella pratica quotidiana dai suoi stessi componenti.

Come dicevo il brano risale ai primi anni settanta, tuttavia lo trovo attualissimo nel senso che in molte situazioni simili a quelle descritte, mi sono sentito perfettamente uguale alla descrizione che fa il protagonista.

Certamente non accadeva sempre così, non accade sempre così: vi sono gruppi di “compagni” che riescono ad avere pratiche più libere e sane, soprattutto tra quelli più giovani.

Resta poi il dubbio di cosa succederà con il passare degli anni, come questi giovani verranno plasmati dal potere maschile, dal patriarcato e, quindi, come modificheranno i loro comportamenti.

Così come è abbastanza evidente che, quanto più ci si inoltra in gruppi di persone a tenuta stagna sotto l’aspetto del pensiero ed intendo i vari dogmatismi anche di natura ideologica/politica, si perdono di vista molti aspetti della mente umana, le varie sfaccettature e sfumature di vedute, in altre parole si perde in termini di libertà personale, identificando il proprio essere con quel pensiero in modo eccessivamente restrittivo.

Di una cosa sono certo, per arrivare ad una grado di maturazione vero, davvero sentito e che riesca a vedere l’oppressione che il patriarcato impone, c’è bisogno di sentirlo profondamente dentro, c’è bisogno di prendere coscienza di quello che si è e di quello che non si vuole essere, volere intraprendere questo percorso di liberazione attraverso l’auto imposizione di comportamenti che non si è ancora disposti ad accettare è assolutamente improduttivo, buona lettura.

Sinistra maschilista*

Una sera, due di noi di Brother parteciparono a San Francisco una riunione indetta da un gruppo promotore della manifestazione del 22 aprile contro la guerra e contro l’imperialismo; ci avevano chiesto di mandare gente, dato che avremmo tenuto un piccolo “stand” all’esposizione popolare che si teneva in quel giorno.

Nella sala c’erano dalle cinquanta alle settanta persone, per lo più uomini bianchi “normali”.

L’atmosfera prima del meeting era molto professionale e ho sentito subito una mancanza di calore e di affiatamento. Personalmente, mi sentivo al di fuori di tutto questo, molto teso e misurato nei gesti, ma pensai che probabilmente si trattava del fatto che era la prima volta che venivo a San Francisco. Durante tutta la riunione, mi sentivo sempre più teso, a disagio ed estraneo. Mi sembrava che mancasse qualcosa ma non capivo che cosa e continuavo a pensare che forse erano la mia paranoia e chiusura personale a impedirmi di partecipare attivamente alla riunione. Avevo paura di parlare e volevo andarmene, ma il mio amico era fissato a voler rimanere fino alla fine.

Così cominciai a chiedermi:

che cosa mi succedeva?

Perché ero così teso?

Quella gente aveva una pratica rivoluzionaria sostenendo i Vietnamiti?

Che cosa facevo io, per aiutare i Vietnamiti?

Ero ossessionato da problemi di politica sessuale e da Brother.

Non ero forse uomo abbastanza per partecipare alla lotta reale?

Loro lo stavano già facendo e io ero ancora li a preoccuparmi sul come farla. Cominciò a girarmi la testa. In discussione c’era «analizzare la strategia politica e la tattica della manifestazione che si era appena svolta quel giorno a San Francisco». Parlavano uno dopo l’altro, compresi alcuni rappresentanti del terzo mondo, facendo lunghi verbosi discorsi, a volte del tutto incomprensibili.

Ognuno parlava come se fosse un piccolo Lenin. Sembrava che tutti avessero un’analisi completa della situazione attuale. Nessuno esprimeva dubbi o incertezze. Cominciai a fissare gli occhi, lasciando perdere il resto, sul tono e sui modi degli oratori, a pensare che ogni discorso in fondo veniva fatto per dimostrare le qualità di uomo dell’oratore, per confermare la sua ineccepibile identità maschile Ognuno sembrava cosi perfettamente logico. Non c’era scambio di idee, ma solo competizione di ego; quello che ognuno cercava era che la sua analisi venisse accettata dal gruppo come la verità.

Avrei voluto portare le mie impressioni sulla manifestazione, ma non ne ero molto sicuro, così come non lo ero sui punti di forza e di debolezza della dimostrazione. Non mi ci vedevo proprio a questa riunione, a dire: «non ne ero sicuro, ma pensavo che forse…»

Mi innervosivo molto solo al pensiero di dover parlare, come se avessi voluto provare a me stesso che valeva la pena di ascoltarmi. Più la discussione andava avanti, meno volevo parteciparvi. Solo una o due donne presero la parola. Nessuno fra gli uomini che parlavano sembrava rendersi conto che le donne erano, di fatto, escluse dalla riunione.

In molte occasioni donne che alzavano la mano venivano ignorate dal moderatore. Infine, il tutto divenne così noioso che fuggimmo via di comune accordo. Avevo imparato molto poco sulle manifestazioni ma mi ero chiarito un po’ di cose sugli uomini e “la politica rivoluzionaria”.

Spesso durante le “discussioni”, parlavano di unità contro l’imperialismo”.

Ma, confrontata con il loro atteggiamento individualista, la frase sembrava così retorica.

Ognuno si presentava come isolato nella sua immagine granitica, capace di stare da solo, senza bisogno di nessuno; un oratore con un’analisi fredda e difficile.

Mi sembra che questa unità sia una di quelle cose che si devono sentire.

Sentivo che i vari oratori aspiravano a essere loro a definire le cose per gli altri, unità nei termini e sotto la direzione da loro voluti. Ma non credo che avessero più risposte di una qualsiasi delle persone presenti. Si identificavano pienamente con la loro immagine di leaders politici, e questo li rendeva incapaci di ammettere dubbio, confusione, o vulnerabilità. Gli uomini e le donne che non condividevano un simile atteggiamento non sapevano parlare. Erano proprio loro quelli che impedivano l’urni tà a questa assemblea

Avevo anche pensato, poco prima di andarmene, di intervenire nel merito della riunione, ma non mi andava di aggiungere un’altra voce maschile ed ero spaventato all’idea di essere attaccato verbalmente dagli altri uomini. Non mi sembrava giusto, d’altra parte, che dovessero essere solo le donne, tra i presenti, a mettere gli uomini faccia a faccia con il loro sciovinismo maschile.

Dopo aver lasciato il meeting confidai al mio amico di Brother quello che avrei voluto dire e lui mi rispose che sarei dovuto intervenire. Era stato uno sbaglio non accennargli niente in precedenza, avremmo dovuto comunicare di più. Non so ancora se andrò a questo genere di riunioni in futuro, ma se lo farò, cercherò di mantenermi maggiormente in contatto con i miei compagni, in modo da poterci scambiare le nostre impressioni e ridimensionare la discussione.

*Male dominated left da “Brother” n. 11-12

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